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Racconti #10 - Aras


Correvo controvento, sfidando le mie capacità residue dopo una giornata di duro lavoro.  L'acqua rumoreggiava contro gli scogli, il vento mi soffiava addosso arrabbiato e dentro di me la tempesta infuriava ancora più violenta. La dovevo placare, non potevo esserne travolta. 
«Sara non posso più stare con te» e «non ti amo più».
«Non sei tu, sono io» e «tu sei fantastica ma a volte mi sconcerti».
Parole che mi avevano fatto sussultare, imbarazzare, tremare ed infine incazzare. Di brutto. Ma con chi diavolo avevo passato i miei ultimi due anni?

La sabbia era fredda sotto le dita, rassicurante. La sabbia lenisce i cuori infranti, ve lo dico io. Il mio cuore, però, non è del tutto infranto, poiché non si può infrangere un cuore già spezzato. Io sono spezzata dentro e fuori. Non sono mai stata integra e sono sempre stata due.  C'è una me che mostro quando voglio ed una me che esce fuori quando non voglio.  Eppure, in questa storia, pensavo finalmente di avercela fatta. Con lui pensavo davvero di passarci la vita, credevo mi amasse. Ma forse non si riesce ad amare qualcuno che ti sconcerta.  Forse non si riesce ad amare chi non si riesce a capire.  Semplicemente, talvolta succedeva e non potevo farci niente. Quella parte nascosta di me, quella che tenevo segreta perché imprevedibile, se ne usciva nei momenti più impensati, con gli atteggiamenti più imprevisti. Come quella volta che eravamo seduti nella cucina dei suoi ed io, Sara, non volevo reggergli il moccolo, così ho iniziato a deriderlo alla grande. O quella volta che, dopo aver fatto l'amore, mi sono alzata, ho preso le forbici e gli ho tagliato tutte le camicie. O quell'altra. Quella in cui, siccome era caldo ed io sudavo come una capra, ho preso la pompa dell'acqua ed ho innaffiato tutto: cucina, divano, tivù, letti, comodini, armadi. Eppure, mi ero illusa che mi amasse nonostante tutto. Mi ero detta: "se ami una persona ne sopporti anche le stranezze". Lui non ne aveva, ma questo non significa niente. Io lo amavo.

Ho letto al Liceo "Uno, nessuno e centomila" di Pirandello, e l'ho odiato fin dal primo istante. Da uscirne matti. Ora, mi sento e-sat-ta-men-te così, proprio come il protagonista mentre si guarda allo specchio e vede quella gobba sul naso che non aveva mai visto prima. Non so più chi sono, e non credo di essere solo Sara. Ne ero cosciente fin da bambina (che non sono solo una, ma due), ma sapevo – bene o male – che agli occhi del mondo ero: di sesso femminile; italiana; di nome Sara; figlia di non-si-sa-chi. Ma Sara era per me l'immagine che il mondo aveva di me, diversa da cosa io percepisco di me. In quel buco che ho al posto del cuore, sento di non essere integra. Non posso dire di essere una, qui siamo almeno in due. E, lei, l'ho sempre chiamata "Aras". Della sua esistenza, solo io Sara sono al corrente. È me al contrario di me. È me senza di me. Corre quando io sono lenta, vuole rallentare se io accelero. In questo momento se la ride, perché sa di aver vinto ancora.

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