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Al fotografo in giacca verde (mi sembrava)


© RyanMcGuire/CC

In questi giorni mi sembra di vivere tante vite. Potrebbe essere che forse io sia bipolare, non lo so. Oramai più nulla mi sembra sano, men che meno me stessa. Quel che so è che passo dall'euforia più catartica alla più nera malinconia, e che questo me lo regala ogni incontro che faccio. È un dono che non ho voglia di ricevere, ma devo, è inevitabile, come quando mia nonna mi regalava mutandine al mio compleanno, ed anche se erano rosa-pesca-rosa l'abbracciavo come se fosse il regalo più bello del mondo, ed era lo stesso ogni anno.

Persone. Ripenso alle parole dette, ci passo più volte sopra con il pennello della mia razionale pazzia macchiata di disincantato stupore. Per la miseria! Odio i "Tutto bene?", sanno di superficiale, ipocrita finzione di interesse. Preferisco i semplici "Ciao" detti guardandoti dritto negli occhi prima di correr via. Odio chi ogni volta che ti vede vuole baciarti sulle guance, chi lancia gli urletti apostrofandoti "Tesoro! Ma che bella che sei oggi!", oppure "Tesoro! Hai una cera spaventosa stamattina!". Tenetevi a casa i vostri "Tesoro". Amo chi sta in disparte, "in un canton", si dice in dialetto veneto. Amo chi aspetta, e chi ti saluta in un baleno eppure ci mette in quel saluto la verità di quel che sente. Mi prendo tutto questo, e gli devo far fronte: ardua battaglia, che perdo costantemente, che mi fa arrivare sfinita sul mio letto trentino e non mi lascia dormire.

Oggi però, verso sera, dopo sorrisi, volti chiari e scuri, dopo risate e dopo musi lunghi, dopo ansiti di preoccupazioni infondate che s'intrecciano a terribili sensi di colpa, sofferenze raccontate, e sentirsi inutili per il dolore, e osservare la gioia da lontano, laggiù, che non ti tocca, che si tramuta in chiacchiere leggere con i compagni di corso, che ancora cangia in begli occhi annebbiati dall'alcol... una giacca. Verde. "Verde speranza", direbbe mia mamma. Quella speranza sul fondo del vaso di Pandora. Il peggiore dei mali, o la bacchetta magica? Lo chiedo a Questo Fantomatico Fotografo, che con la sua giacca verde ha gettato, nello stesso modo in cui Heidegger gettava ogni cosa, essere compreso, il riposo sui miei occhi che si dibattevano da un'immagine all'altra. Eri in ritardo, ma Roma ti aspettava. In verde eri, almeno così mi sembrava.

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