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Wilhelm Gause Hofball in Wien - Historisches Museum der Stadt Wien © wikicommons |
Era una serata come tutte le altre, fredda e monotona. Le stelle brillavano, incastonate nel velluto nero della notte ma, come freddi diamanti, non emanavano alcun calore. Vera Johnson si preparava a salire in carrozza. Indossava un abito nero da ballo privo di guarnizioni ed un soprabito scuro foderato di pelliccia. I bianchi capelli erano raccolti in una crocchia dall'aspetto severo, ma più di tutto colpiva il volto della donna: totalmente inespressivo e precocemente invecchiato.
Stancamente, Vera si abbandonò sul sedile della carrozza. Si sentiva tremendamente sola, inutile, svuotata anche del sentimento più sublime: l’amore. Avrebbe voluto poter ancora sognare, formulare un pensiero d’amore, avere la consapevolezza di essere amata e di amare. Ma il suo animo si era inaridito: solo silenzio, solo infinito nulla. Stanca, stanca sono, si disse, voglio solo scivolare nell'oblio... Ah! L’amore... Tra le sue ciglia comparve una lacrima che scivolò fino alle labbra serrate. No, non esisteva. Per tutta la vita aveva guardato con aspettativa ed ansia a chi, come lei, cercava un significato, a chi, come lei, cercava disperatamente qualcosa o qualcuno che potesse far luce sulla meta dell’esistenza umana. Cercava volti che le donassero una perla di quel sentimento detto “amore”, volti nei quali poter lasciare che i propri occhi annegassero bramosi. Ma una continua ricerca non aveva avuto buon esito. D’un tratto s’era trovata sposata e con una figlia. E l'amore... sogno indimenticabile e impossibile. L’amore non esisteva. Gli occhi che prima avevano lasciato trasparire un segno di commozione tornarono asciutti. Ormai era un’anziana vedova e la morte era dietro l’angolo. Quello era il suo ultimo ballo, poi avrebbe atteso il suo destino, qualunque fosse. Già. La morte non avrebbe tardato molto a venire.
***
Nello stanzino delle signore giovani ragazze e donne mature chiacchieravano trafelate ed indaffarate, sistemandosi i cappellini, le gonne e ravvivandosi le guance. Vera le guardò cercando di reprimere uno spontaneo rigurgito di invidia acida. Con lenti e misurati gesti si tolse il cappellino, la borsa ed il soprabito, cercando di frenare il tremito rabbioso che la scuoteva. Miriadi di giovani volti entusiasti le balenarono dinanzi agli occhi, volti di giovani fanciulle al loro primo ballo, volti di giovani ragazze in cerca del loro primo amore, volti di giovani donne ansiose di mostrare la loro bellezza. Nessuno di quei volti prestò attenzione a lei che, rigida come una statua, vedeva e non vedeva. Ricordava. Ma i ricordi le facevano troppo male. Anch'ella era stata spensierata e bellissima, circondata da pretendenti, lodata ed ammirata. Non aveva trovato, però, il volto che cercava: il volto di lui. Il volto di un uomo innamorato. Ora era tardi: la giovinezza se n’era andata con un respiro e tutto era invecchiato, lei era invecchiata, tutto era appassito, lei era appassita, tutto era grigio, come lei. L’impeto di nostalgia per la sua giovinezza perduta era così forte che sembrava soffocarla. Lentamente entrò nella sala da ballo e cercò di ricordare cosa aveva provato il giorno del suo primo ballo. “Oh, sì!... il pavimento era lucidissimo e deliziosamente scivoloso, ora mi sembra solo pericoloso e senza attrattiva alcuna; i fiori stupendi, gli abiti superbi, le luci... ora i fiori mi sembrano spenti, opachi, gli abiti hanno i colori di sempre e le luci sono troppo abbaglianti”. A cauti passettini si diresse verso una sedia: il suo carnet era completamente vuoto e Vera sentiva il cuore farle male, male, male. Sua figlia ballava in mezzo alla sala con un bel giovanotto alto e sorridente. Com'era bella e giovane! A poco a poco la sofferenza lasciò il posto alla rassegnazione: il suo volto era tornato inespressivo, di pietra.
***
Tuttavia... "Noi siamo il ponte che attraversa il sempre, che s’inarca sopra il mare, che s’avventura per il nostro piacere, misteri viventi per sfizio e per spasso, che scegliamo disastri, trionfi, sfide impossibili, rischi, per mettere noi stessi alla prova ripetutamente per imparare l’amore e l’amore e l'Amore*". Il destino era giunto: lassù tra le nubi una stella cadde e si staccò da quel meraviglioso velluto. Vera, seguendo un impulso più forte di lei, girò la testa alla ricerca di... un uomo incrociò il suo sguardo. I loro volti si fissarono, sbalorditi, immobili dell’immobilità di un colpo... di fulmine. Si cercavano da tempo, da sempre. In cielo la scia della stella cadente si notava ancora.
Vera sbatté le ciglia una, due, tre volte.
Lui sbatté le ciglia una, due, tre volte.
Si avvicinarono senza staccarsi gli occhi di dosso, il carnet di lei dimenticato, i cuori che cantavano: “Cercavo il tuo volto da sempre!”.
“Io sono Vera”, disse lei con le lacrime agli occhi, lacrime che le sgorgavano dal cuore che aveva ripreso a battere. “Io sono Alessandro”, disse lui e piccole rughe s’incresparono ai lati dei suoi occhi miopi, quando sorrise. La ricerca di entrambi era finita ed ognuno annegava negli occhi dell’altro. La morte poteva aspettare.
*Richard Bach, Un ponte sull'eternità.
Vera sbatté le ciglia una, due, tre volte.
Lui sbatté le ciglia una, due, tre volte.
Si avvicinarono senza staccarsi gli occhi di dosso, il carnet di lei dimenticato, i cuori che cantavano: “Cercavo il tuo volto da sempre!”.
“Io sono Vera”, disse lei con le lacrime agli occhi, lacrime che le sgorgavano dal cuore che aveva ripreso a battere. “Io sono Alessandro”, disse lui e piccole rughe s’incresparono ai lati dei suoi occhi miopi, quando sorrise. La ricerca di entrambi era finita ed ognuno annegava negli occhi dell’altro. La morte poteva aspettare.
*Richard Bach, Un ponte sull'eternità.
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Grazie e... che aspettate? :)
Sara