Battaglia di Zama © artista romano, 1570-1600/wikicommons |
Correva l’anno 202 a. C. e Scipione aveva distrutto le basi puniche in Spagna e tagliato i rifornimenti ad Annibale. Ora, Annibale lo sentiva, Scipione sarebbe arrivato là dove i Romani non erano mai riusciti: in Africa. Annibale era depresso: certamente comprendeva che quella sarebbe stata la battaglia decisiva, ma era ancora più preoccupato per colei che era sola in Africa in balia del nemico, il suo unico, vero amore: Iulia. Ebbene, sì, Annibale, il grande e freddo condottiero, era innamorato e ora si struggeva al pensiero della prossima battaglia nel territorio di colei che amava. “Ah”, si disse, “la mia patria ora è quasi perduta, ma non voglio perdere anche la donna che amo”.
Era l’alba di uno di quei terribili giorni d’attesa, quando giunse un messaggero che gli consegnò un plico: la grafia era tremolante e chi l’aveva scritto doveva aver avuto molta fretta. Il messaggio però era chiaro: Annibale era chiamato in patria per un’estrema difesa: i Romani erano in mare e si dirigevano alla volta di Cartago! Annibale partì immediatamente, ma nel suo cuore pensava solo alla donna amata. Arrivato in Africa, si diede da fare preparando l’esercito in modo accurato e meticoloso, come sempre aveva fatto, ma tutti potevano leggere nei suoi occhi di grande condottiero la rassegnazione e la sconfitta.
Il sole era rosso in cielo quando i Romani attaccarono a Zama. La battaglia si protrasse a lungo ma i Romani erano ormai vincenti, beffardamente e prepotentemente. Annibale, con un ultimo immane sforzo di volontà, spinse i Punici contro le linee nemiche, ma tutto era perduto. I Romani li sconfissero. Il condottiero battuto, non come codardo, ma come uomo innamorato, scappò alla ricerca dell’amata, disperato per la sua sorte. Cercò dappertutto, nelle case incendiate, tra la gente che correva in cerca di un rifugio, tra gli schiavi... inciampò in molti cadaveri ma si rifiutò di pensare che lei fosse morta. Ad un tratto sentì un debole “pss” e speranzoso si volse: nulla vide tranne i corpi a terra, era la sua mente malata a giocargli brutti scherzi. Trafelato, arrivò il suo fidato Marcus: “Scappa stanotte, Annibale, e rifugiati in un’isola. I Romani ti stanno cercando...”. Con la morte nella voce Annibale rispose: “Me ne andrò solo quando avrò ritrovato Iulia”.
Marcus lo guardò e vide un uomo distrutto, senza più patria e senza l’amata. In silenzio, senza guardarlo, lo portò in una casa ancora intatta. Al suo interno giaceva una giovane, con gli occhi aperti e sbarrati. Vicino a lei vi era un bicchiere con un liquido scuro al suo interno. Iulia si era data la morte con lo stesso veleno che aveva ucciso Socrate quasi due secoli prima: la cicuta. Annibale urlò il suo dolore, piangendo impotente, consolato solo dall'amico Marcus. Dopo un po’ lo seguì fuori e si accordò con lui per la fuga, senza guardarsi indietro: nonostante avesse perso il suo cuore e nonostante l’immenso dolore, Annibale voleva vivere ancora.
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Grazie e... che aspettate? :)
Sara