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Racconti #7 - Colpita

Rovereto, 10 maggio 2014
(Ogni riferimento è puramente casuale)

Annalisa era depressa. Non capiva perché né come ma le sue mani non le ubbidivano. Mai. Il pianoforte era lì davanti a lei, nero e lucente, beffardo. La sfidava a dominarlo e, regolarmente, vinceva la sfida. Annalisa si fissò le mani: non erano granché, per una pianista: le dita non erano molto lunghe né così agili e affusolate come avrebbero dovuto. Lungo sospiro.
Suonava ormai da quasi sette anni ed ancora non si sentiva in perfetta sintonia con il suo strumento: il pianoforte era distaccato da lei, distante, un qualcosa di estraneo e straniero che non riusciva a fare suo. Freddo e inavvicinabile, proprio come un bel ragazzo irraggiungibile. Basta! Annalisa si allontanò dal piano infastidita, andandosi a rifugiare sul divano. Non capiva. Il problema erano le sue dita o la sua disposizione d’animo? Infatti ogni esibizione pubblica era per lei fonte di ansia ed angoscia ed ovviamente il risultato ne risentiva. Seduta al pianoforte, si ritrovava a fissarlo quasi con terrore malcelato, spaventata dal biancore abbagliante di tutti quei tasti aperti per inghiottirla. E allora suonava con timore, le sue dita sudavano ed inevitabilmente qualche nota fluiva stonata e qualche passaggio si perdeva. Che figure! Si ripeteva. Ma dove stava l’errore? Dove il problema? Con simili pensieri che le vorticavano in testa, Annalisa si addormentò.

Si svegliò mentre il sole tramontava. “Preparati, hai la lezione!”, le sussurrò sua madre. Ancora un po’ intontita dal sonno, Annalisa si diresse al piano e sedette, aspettando. Driiiiiin. Passi. Il suo insegnante era arrivato. Annalisa voltò la testa e... rimase interdetta. Chi era quell'uomo? Certamente non il suo austero e severo maestro! Dall'uscio del salotto si stagliava la figura di un sorridente e riccioluto ragazzone un po’ cresciuto che gentilmente si presentò come il sostituto del vecchio maestro. Aveva negli occhi l’azzurro del cielo e nei capelli lo splendore del sole, che si rifletteva sul suo sorriso un po’ storto, ma franco ed aperto. Annalisa era abbagliata ma, diffidente come sempre, si ricompose subito. “Io sono Giovanni. Tu devi essere Annalisa.” La stretta di mano che le diede era una scossa elettrica. Il suo sorriso spontaneo. Venne a sedersi vicino a lei e, notando i libri appoggiati lì vicino, volle conoscere i suoi gusti musicali. Tutto ad un tratto Annalisa, senza aver aperto bocca fino ad ora, si sentì spinta ad aprirgli il cuore. “I romantici sono i miei preferiti”. Il bel sorriso che le rivolse le trasmise un piacevole formicolio alla punta delle dita e la spronò a dirgli di più: “Ma il romanticismo di Chopin non ha eguali! É in assoluto l’autore che preferisco per la sua sensibilità, il suo ardore, la sua trepida fantasia di adolescente inebriato, delicato, malinconico e passionale...”. Annalisa non si fermava più: non sapeva nemmeno lei cosa le avesse preso, ma le piaceva. Giovanni non la interruppe nemmeno per un secondo.

***

Quel giorno la lezione fu strepitosa: non si suonò né si toccarono i tasti del pianoforte, ma un’animuccia che s’era dimenticata delle proprie ali si librò nuovamente nel vento, di fronte ad un attento ascoltatore. I giorni che seguirono furono diversi per Annalisa: si sentiva euforica, sulle nuvole. Perfino a scuola sorrideva più facilmente, rideva più spesso. Ma erano le lezioni con il nuovo insegnante che aspettava con trepidazione e gioia intensa. Fu soltanto verso la quarta lezione che si decise a confidargli quanto si sentisse inadeguata e quanto il suo strumento le rimanesse estraneo e la facesse anche infuriare. Giovanni, pensieroso, la ascoltò attentamente per un po’, poi sbottò: "Innanzitutto è la tua disposizione d’animo che è sbagliata! Non devi ostinarti con concentrazione a suonare anche se sei spaventata perché pensi di non riuscire, perché pensi già al risultato finale! Non devi pensare al fine: come dicono i maestri Zen, la vera arte è senza scopo, senza intenzione!”.  Annalisa lo guardava affascinata: “Non capisco”“Ecco, quando ti siedi al pianoforte devi lasciarti alle spalle tutto, tutte le paure, le preoccupazioni, le ansie, le gioie, i pensieri. Devi avere la mente sgombra di ogni cosa, perché deve esserci spazio solo per lui. Devi lasciarti dietro te stessa e tutto ciò che è tuo, il che equivale a dire che devi affrontare te stessa fin nelle ultime profondità, senza tremare. Solo se hai il coraggio e la libertà di fare questo riuscirai a dominare il tuo strumento con fermezza e dolcezza.”
Annalisa pensava. Quando mai aveva affrontato se stessa? Quando mai aveva cercato di affrontare le sue paure più profonde? Non le aveva sempre evitate? Possibile che ora un qualsiasi insegnante di musica le dicesse proprio questo? Ma cosa c’entrava con la tecnica pianistica? Cosa c'entrava con le sue dita? Lo scetticismo di Annalisa le era dipinto in faccia, ma Giovanni non si diede per vinto e nel tempo che rimaneva le insegnò la corretta respirazione mentre si suona, respirazione che segue l’andamento naturale della composizione che si ha sotto gli occhi, perché solo così il pianista respira ciò che suona fin nelle più piccole variazioni. Esercizio dopo esercizio, nei giorni successivi e per mesi Annalisa respirava, respirava e respirava le ballate, le mazurche, gli studi, i valzer, i notturni che suonava. Alcune volte era molto difficile e le dita si ingarbugliavano, i pensieri tornavano ad affollarle la mente e la respirazione si interrompeva. Ma se quelli erano i segni che qualcosa non funzionava, altri erano i segnali che la strada che aveva intrapreso era quella giusta: quando Annalisa socchiudeva gli occhi, libera e vuota, le sue dita si muovevano quasi con volontà propria e l’esecuzione le riusciva perfettamente. Erano i momenti più belli: Giovanni sorrideva e lasciava che fosse la felicità che sentivano entrambi sulla pelle a parlare per lui.
Poco a poco, con costanza, Annalisa si rese conto che ciò che accadeva sui tasti del pianoforte rispecchiava ciò che accadeva parallelamente dentro di lei: la tristezza, la noia e le paure che mai l’avevano abbandonata, se affrontate coraggiosamente alla stregua di un’esecuzione pianistica, si dissolvevano e la aiutavano ad andare avanti, trasformate in punti di forza. La cosa curiosa era che le lasciavano sempre un formicolio alle dita che le imponeva come imperativo categorico di sfogare la sua gioia al pianoforte, il quale in tal modo diventava un suo compagno di viaggio, come lo era stato di sventura, senza che lei se ne rendesse conto.
Fu così che passato un bel po’ di tempo e di esercizi sudati, Annalisa si sentì proporre da Giovanni un saggio pubblico. Immediatamente la sua mente si ribellò all'idea: mai e poi mai avrebbe distrutto tutto quello che aveva imparato in mesi e mesi per un’esecuzione che sarebbe finita come tutte le altre, cioè suonicchiata maldestramente in preda all'ansia di vedersi al centro dell’attenzione. Così la sua risposta fu negativa. Allora Giovanni, per la prima volta, si arrabbiò sul serio con lei e interruppe le sue lezioni. Ad Annalisa crollò il mondo addosso. Capiva di comportarsi come una bambina, ma non riusciva ad elaborare il motivo per cui non voleva assolutamente suonare in pubblico.

***

Una notte, però ebbe un sogno: un grande uccello dalle ali variopinte volava felice incontro al sole, ma portava attaccata alla zampa destra una corda che ad un certo punto si tese e arrestò il suo volo, tenendolo prigioniero. L’uccello di dimenava, piangendo, e con tutte le sue forze voleva spiccare il volo ma la corda lo teneva sempre legato alla terra. Annalisa capì che l’uccello rappresentava lei stessa e quella corda non erano che le sue paure e tutto ciò che la legava alla terra. Capì che, se voleva essere davvero felice e vivere a testa alta potendo affermare di aver fatto di tutto per riuscirci, doveva affrontare quel saggio, in una novità che non era solo esteriore, ma che avrebbe rispecchiato ciò che in quei mesi denotava un cambiamento profondo, interiore.
Fu fissato il giorno e tutta la scuola, gli amici e i conoscenti vennero a vederla. La sala era piena. Giovanni si sedette in prima fila e le sorrise come le aveva sempre sorriso. Il sole splendeva fuori, le finestre erano aperte ed Annalisa si sentì inspiegabilmente calma e rilassata quando si sedette al pianoforte. Chopin aprì la bocca e cantò in modo dolcissimo attraverso le dita abili di Annalisa, che si perse nella bellezza e nel respiro del valzer che stava suonando, un valzer diverso da tutti gli altri che aveva suonato, un valzer che sgorgava prima di tutto dal suo cuore traboccante. Solo ora comprese cosa avesse voluto dire Eugen Herrigel con le parole: “Sono io che tendo l’arco o è l’arco che mi tira alla massima tensione? Sono io che colpisco il bersaglio o è il bersaglio che colpisce me?*”, perché finalmente il suo Io più profondo si era intrecciato indissolubilmente con lo strumento che aveva di fronte, cera nelle sue mani e miccia nel suo cuore.




* cit. da "Lo zen e il tiro con l'arco".

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