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Giuseppe Rensi vs Antonio Rosmini: la sfida

Popeye meets Sinbad
Buongiorno, o filosofici amici. Quest'oggi vi voglio parlare di un personaggio un po' fuori dagli schemi nel quale mi sono imbattuta circa una settimana fa, ad una conferenza realizzata a Lettere e Filosofia presso l'Università di Trento. Come oramai avrete intuito, io adoro i personaggi fuori dagli schemi. Costui, al secolo Giuseppe Rensi, nacque a Villafranca di Verona e visse tra il 1871 e il 1941.

L'incostanza e l'incoerenza che gli venne addebitata, tra i tanti, da Croce e Gentile, è proverbiale, eppure la sua fu un'esperienza di vita e di pensiero che definire "incoerente" è semplicistico: era, semplicemente e meravigliosamente, un lettore ed autore onnivoro. Di quelli che non si scordano di niente di quello che leggono. Di quelli, insomma, ai quali aspiro assomigliare. E perciò neppure il grande Antonio Rosmini sfuggì alla sua caccia letterario-filosofica.

Rensi passa attraverso molte fasi, nel suo pensiero: da una "filosofia dell'autorità" vicina al fascismo, da cui si stacca però quasi subito, ad un periodo idealista a sfondo mistico, ad uno scetticismo che diventa radicale ateismo e si colora di venature irrazionalistiche (famoso il suo ribaltamento di Hegel: "tutto ciò che è reale è irrazionale, tutto ciò che è irreale è razionale"), secondo me la più intrigante tra le sue fasi, ed approda infine alle Lettere spirituali, un approdo che testimonia la sua profonda sensibilità religiosa, e soprattutto morale. Una personalità che, nonostante alti e bassi, ha rischiato tutto, persino la credibilità, per cercare di realizzare la sua idea del Bene.

Ma come si inserisce Rosmini nel suo pensiero? Tenuto conto che, Rensi stesso lo afferma, il suo insegnante di filosofia del liceo era un rosminiano, e Giuseppe non lo poteva soffrire, il suo rapporto con Rosmini si configura come una sorta di dialogo ininterrotto per tutta la sua produzione. Un dialogo che si avvale di riprese rosminiane di segno positivo e negativo, venate di umorismo e valore dissacratorio, ma anche di un rispetto che non si può negare. Per esempio, in Lineamenti di filosofia scettica (1919), afferma: "Lo scetticismo fu stritolato dal Rosmini", che viene dunque presentato come nemico giurato di questa corrente. Tutto da ridere se si pensa che Gioberti accusò Rosmini di scetticismo! Ancora, in L'irrazionale, il lavoro, l'amore (1923), Rensi critica l'idea della conoscibilità della verità per Rosmini, definendo un "informe mollusco" l'essere idealista rosminiano. Vari esempi possono essere ancora fatti, ed uno studio sistematico di tutte le sue riprese potrebbe essere un punto di partenza per un lavoro che, a tutt'oggi, nessuno ancora ha compiuto (se si eccettua la conferenza di cui parlo, ad opera del professor Fabrizio Meroi) ma vorrei fermarmi qui per un paio di ultime considerazioni.

Abbiamo detto che Rensi fu un personaggio controverso, per i più pessimista, eppure la sua concezione della morale come pazzia ci fa scorgere una profonda fiducia nell'essere umano che, grattando sotto la superficie, lascia intravedere un ottimismo di fondo, nato dalla sua convinzione dell'assoluta gratuità dell'atto morale. E con questo, voglio lasciarvi: non vedo l'ora di buttarmi nella lettura dei suoi scritti. Tra parentesi, la sua scrittura, molto giornalistica, è qualcosa di magnifico. Conosco solo poche persone che scrivono così bene, e tra queste qualcuno che riesce a mettere anche otto "invero" in una dissertazione filosofica di circa novanta pagine.

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