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L'angolo del Filosofo #4 - Un'anima che si svolge

© musthaqsms/CC

Sveglia di mattino presto. Colazione frettolosa. Treno acciuffato all'ultimo minuto. Il tutto per l'esame di Storia della Pedagogia, non esattamente la mia materia preferita. E, per di più, sono l'ultima della mattinata, sfortuna che si accumula alle sfortune. Gli sforzi dovrebbero fortificarci, così mi insegna mia nonna. Speriamo, dai.
Alcuni argomenti, tuttavia, non sono male: quando la Montessori scrive ti par quasi di vederla, in mezzo a tutti i suoi piccini, intenta a far capire alle sue "direttrici" il metodo pedagogico giusto, il suo. Ma il mio preferito è Dewey, lui, sì, un filosofo nell'intimo anche quando parla di pedagogia. E una gran statura d'uomo, del genere che mi piacerebbe incontrare, almeno una volta nella vita. Una volta basterebbe (anche se probabilmente morirei immediatamente, se dovessi prenderne una dose massiccia). Ma  torniamo a bomba.

Tra i vari esaminandi ecco davanti a me una giovane mamma che si appresta a dare l'esame. Riccia, simpatica e sorridente, chiede se può andare lei perché ha un bimbo da allattare. E vuoi che all'esame di Storia della Pedagogia mostriamo l'insensibilità tipica dei filosofi, e in particolare di quelli che non hanno figli? Ovviamente no! Sarà stata, poi, la sua dolcezza, sarà stato che era preparatissima ed il suo 30 (beata lei!) se lo meritava tutto quanto e aveva fatto contento il prof, sarà stato che era quasi ora di pranzo ed un break ci voleva, fatto sta che il professore inizia a divagare e, quasi in atteggiamento meditativo, racconta un aneddoto, riguardante la sua bimba di circa sette anni, che più filosofico di così si muore. Ma che ha sconvolto la mia giornata in positivo.
Dunque: il prof si trovava in procinto di salire in macchina con la sua piccola, che all'epoca aveva forse un anno, e, come al solito, si accingeva a metterla sul seggiolino posteriore, allorché la bambina, in uno spontaneo quanto improvviso rigurgito verbale di consapevolezza, lo aveva fermato e gli aveva detto: "io!". Nient'altro. Una semplice parolina, pronunciata con forza insospettata, di due lettere. Di due vocali, una vicino all'altra. Ma una parolina che è stata croce e delizia di centinaia di filosofi. Una parolina che ha sconvolto i secoli e fondato o distrutto intere visioni del mondo e della vita. Una parolina che, solitamente, quando sentiamo pronunciare troppo spesso ci irrita, ci infastidisce, ci urta. Una parolina che forse non dona alla madre la stessa magia di quando sente pronunciare per la prima volta "mamma", ma che ha immobilizzato il padre, cioè il mio professore, il quale, allibito, ha stentato a riprendersi. Perché?

Beh, perché quando un bambino dice "Io" per la prima volta, accade un miracolo. Non percepibile da tutti, forse, ma accade. È come se nascesse, di nuovo. Per la prima volta comprende di essere un qualcosa a sé stante, di essere qualcosa d'altro dalla sua mamma. Comprende di avere una coscienza, di essere in grado di percepirsi. Quando un bambino dice "Io" per la prima volta, entra davvero nel mondo, nella vita. Entra consapevole, e non soltanto perché qualcuno lo ha voluto lì, in quel momento, in quel tempo.
Chiudete gli occhi: immaginate per un momento un piccolo corpo che si sviluppa, una piccola anima che si svolge, nel linguaggio che la stessa Montessori delinea in La scoperta del bambino, e provate a sentire la gioia di quell'animuccia che sente l'impeto, che scopre la parola "Io". Provate a vedere il volto di quel padre, lì vicino, che rimane ad assistere come incantato, dinanzi a questo processo meraviglioso, a questa stupefacente scoperta, a questo miracolo inimmaginabile e bellissimo.
Solo più tardi quel padre penserà: "Ah, buon Dio! Ora non la smetterà più di dire "Io" per ogni cosa!". E sarà così, povero lui. Un faticoso compito lo aspetta: quello del genitore. Che però, a mio parere, è il mestiere più antico e più bello al mondo.

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