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L'angolo del Filosofo #3 - L'aria della domenica sera

Pale di San Martino (TN) © Stefano Merler & Monica Dallabona/wikicommons

Dicono che la filosofia sia più una scienza delle domande che delle risposte. Questo l'ho pensato anche domenica sera, mentre ritornavo a Trento, con malinconia. Sotto i miei piedi, il treno proseguiva la sua tratta, inevitabile. Sentivo la malinconia avvilupparmi, avvolgendomi in un abbraccio tiepido ed umido. Il mio respiro era tremulo e indeciso, il respiro di un'eterna indecisa. Domenica sera: il momento più malinconico e al contempo più intenso della settimana. Quando il weekend si avvicenda alla fine e calano le luci.
Quando, al termine del giorno di festa, devo riappropriarmi della mia valigia e salire su un treno per ritornare. Con il monito del lunedì che sussurra nella mia testa. Quando, con un groppo in gola dovuto a un nonsoché di nostalgia, devo intraprendere il rituale dei saluti. Ciao Ester, fa' la brava, mi raccomando. Ciao Veronica, buona settimana a Padova! E dormi! Ciao Rachele, ti voglio bene. Ciao mamma, ciao papà. Sì, sì, ti avviso quando arrivo, ti mando un sms. Saluti fatti un po' velocemente, baci scambiati tentando di sorridere. Se solo potessi saltare questi momenti a pié pari.

A Trento potrei viverci per sempre: bellissima. La mia città. Ma anche casa mia lo è. Ma qual è il mio posto allora? O la questione è: io ho un posto? Oppure il mio destino è quello di fare l'eterna spola da un posto all'altro? Forse che il mio destino sia quello di una vita sempre sulla soglia, il non-luogo per eccellenza? Sempre sul limite, sul confine, su una soglia che separa due luoghi diversi, ed io con un piede di qua ed uno di là? Non appartenendo in realtà a nessuno dei due. O forse appartenendo ad entrambi? Si può appartenere a due posti? Ma cos'è appartenere? A volte mi sento limitata, costretta in un posto preciso. I confini, però, è vero, ci limitano. Ma al tempo stesso ci definiscono, come i contorni delle figure di un fumetto. Ci impediscono di confonderci nel bianco della realtà circostante. Ma sono poi così netti? Definiscono realmente la mia essenza? Confine tra vero e falso, confine tra giusto e sbagliato, confine tra normale e...? 
Non poco tempo fa, passeggiando a Trento in via San Giovanni Bosco, una signora mi ha fermato. Mi ha chiesto indicazioni per il Centro di Salute mentale, ubicato in quella via, e per la prima volta ho scoperto che da alcuni mesi ormai ci passo sempre davanti. Da quando lo so, rallento sempre, impercettibilmente. Una volta o l'altra prenderò il coraggio a due mani ed entrerò. Mi chiedo: sono le persone lì dentro quelli che comunemente ed erroneamente, forse, un po' semplicisticamente di sicuro, definiamo "pazzi"? O forse sono gli unici "normali", circoscritti in uno spazio definito, entro confini precisi? Definire qualcuno non è costringerlo ad essere qualcosa d'altro? Non è imprigionarlo?

Odio le partenze, mi piacciono gli arrivi; è possibile arrivare sempre e mai partire? Avere dei contorni, ma sfumati? Ritornare. Ritornare porta con sé l'arrivare e il partire. Porta con sé una sfumatura. Probabilmente è perché possiede questa particolarità che mi suscita malinconia. Probabilmente è per questo che la domenica sera mi pongo spesso questi quesiti importuni. Quello che dovrei fare, con ogni probabilità, è semplicemente prenderla con filosofia. Tutto da ridere. Più studio filosofia, meno mi viene da prenderla con filosofia.
L'aria della domenica sera gioca questi scherzi.

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