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L'angolo del Filosofo #2 - Normalità. Verità?

La ferrovia Adria-Mestre © Pava/CC

Diceva Socrate: «Il saggio è colui che sa di non sapere». Eppure, se pochi sono gli uomini saggi, tutti amano la saggezza, quindi sono anche in minima parte filosofi.
Quella che vi sto per raccontare è una vicenda che mi è capitata tra capo e collo qualche tempo fa. Bazzicavo, una domenica sera, tra le parti della stazione FS di Mestre. Mi ero rifugiata in uno spazio interno, che disponeva di (non proprio comodissime) poltroncine, genere sala d’attesa. Più o meno sola, do un’occhiata, per una rapida sbirciata generale.
Ciò che vedo mi colpisce e mi… annienta. Attorno a me circa una mezza dozzina di persone un poco strane: una vecchietta rugosa con un pacco enorme di vecchi giornali ai suoi piedi mi punta addosso lo sguardo con i suoi grandi ed acquosi occhi verdazzurri; un anziano signore fissa un punto davanti a sé senza vederlo; una signora bionda vestita, in pieno inverno, con una semplice maglietta con le maniche corte, mangiucchia una brioche, attorniata da borse di plastica e pile di giornali sui quali adagia i piedi; un uomo torvo ed impaurito alla mia destra lancia un gemito ogni tanto; un giovane cinese (lui sì, sembra normale) traffica con il cellulare e… una coppia entra dalla porta girevole.

Li guardo. Lei con la mano infilata sotto il braccio di lui, claudicante. Lui arruffato e stanco, occhi vacui. Si siedono cautamente sulle poltroncine di fronte a me. Lei estrae una bottiglia di vino e fa per aprirla. Non ci riesce. Si guarda intorno. Il giovane cinese alla sua destra si alza e spontaneamente le apre la bottiglia. Una profusione di grazie e sprofonda il silenzio. Tutti gli occhi sono puntati sull'uomo che beve dalla bottiglia. Si sentono i respiri delle persone andare a tempo con il battito del loro cuore. Senza volerlo, lo fisso anch’io, indugiando sulla camicia sporca, gli occhi rossi, le guance scarne, le mani callose, le gambe malferme. Ed ecco: i suoi occhi mi incatenano. Spietati.
Trattengo il respiro e non riesco a distogliere lo sguardo: sono prigioniera. L’uomo abbassa la bottiglia, alza un braccio e mi punta contro un dito, sussurrando, nel silenzio: «La normalità ci divide». Resto basita. Non mi muovo. Lui allora si alza e con un ampio gesto della mano traccia un sottile filo che fende l’aria, sussurrando ancora: «Il filo della normalità ci divide». Io annuisco, sconvolta. Lui mi si avvicina, e con lui la donna, e mi parla ancora: «La vita è un pronto-soccorso. La gente ha paura di me perché dico la Verità». Mi viene da piangere. La donna al suo fianco, con la voce impastata: «Nessuno di noi qui ha una casa - e si guarda attorno – e lui è matto» fa, con un sorrisino. Lui annaspa e quasi urlando mi scaglia in faccia: «I soldi e il potere non servono a nulla». «Sono d’accordo», gli rispondo. Si placa e si risiede. Io sto ferma al mio posto in stato catatonico.

La signora bionda si alza ed improvvisamente apre una borsa di plastica. Distratta, cerco di capire perché. Dalla borsa escono panini enormi, che lei distribuisce a tutti i presenti tranne me. Infine, mi si avvicina e mi chiede: «Vuoi? Hai fame?». «No, grazie», le rispondo. Lei fa spallucce e si rimette a sedere. Tutti mangiano, per nulla sorpresi. Allora mi alzo e le vado accanto: «Lavori per un’associazione? Sei una specie di angelo custode?», le chiedo. Lei mi sorride e risponde, in un italiano stentato: «No. Ogni domenica, però, porto da mangiare per loro» e con un gesto abbraccia tutta la saletta. «Ma compri tu tutte queste cose?» insisto. «No. La Provvidenza».
In quel preciso istante annunciano il mio treno e, dopo un saluto generale un po’ frettoloso, devo scappare. Volo per le scale e acciuffo il treno appena in tempo. Una volta seduta, ho il respiro corto e il cervello confuso. Mi vengono in mente le parole di Merleau-Ponty: «Il Filosofo è l’uomo che si risveglia e che parla.». Davanti agli occhi ho l’immagine dell’uomo “matto” che mi ha parlato della “normalità”. Ma cos'è la normalità? Mi ha parlato di Verità. Cos'è la Verità? Sono io la “normale” o è lui ad esserlo? Chi è il matto tra noi?

Non sono riuscita a mettermi “nei suoi mocassini”, come recita un proverbio pellerossa. A immedesimarmi in lui. Eppure, rivedendo la sua immagine con gli occhi della mente, lo comprendo benissimo: un uomo, allegoria del Filosofo, che guardandosi attorno, vede un mondo che lo rifiuta e non lo capisce. Un uomo che mi instilla il dubbio: normale è bello? Normale è vero? O Verità e normalità fanno a pugni? Non so. E so di non sapere.
L’animo mio – crocianamente – è rimasto sospeso e l’immagine di sé medesimo, proiettata nel futuro, balena sconvolta come quella riflessa nello specchio d’un acqua in tempesta. 

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